“Fertility day. Addaveru sta dici?”
una
campagna di comunicazione contro il fertility day in dialetto
Sei
cartoline colorate con frasi in dialetto e una vuota. Sei frasi, con cui la Casa
delle donne di Lecce, L.e.A. – Liberamente e Apertamente e Kore Salento, dicono
no al “Piano nazionale per la fertilità ed una cartolina vuota da riempire a
piacimento. Un invito forte ma ironico
ed un invito alla riflessione pubblica nel giorno istituito come fertility day.
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A questa campagna offensiva, che
mira a contrastare gli effetti della liberazione femminile, abbiamo voluto
rispondere con forza ma anche con molta ironia, attraverso sei frasi in
dialetto, in contrasto con l'inglesismo utilizzato nella campagna ministeriale, che intendono mettere in
discussione i contenuti del “Piano nazionale per la fertilità”.
La scelta del dialetto intende
caratterizzare maggiormente un messaggio, che si vuole calare nella realtà salentina,
invitando tutte e tutti ad una riflessione pubblica sul significato simbolico e
culturale di questa iniziativa ministeriale.
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Crediamo che ben altra competenza
analitica e sensibilità politica erano richieste al governo e alla ministra, per misurarsi col nodo della
natalità, in cui si intrecciano una complessità di fattori poco rintracciabili
nel progetto ministeriale.
Due sono quelli che ci sembrano
più rilevanti: da
un lato, l’assunto ormai storicamente consolidato che la maternità non
rappresenti più il naturale destino della donna, ovvero la fonte primaria
della sua realizzazione; il che comporta un cambiamento della cultura della
natalità non più affidata ad un processo
naturalistico, ma al sistema delle scelte individuali.
Il concetto di maternità, sotto questo aspetto, si
inserisce nel trend evolutivo sociale, riflettendone i mutamenti che ne dilatano il significato. Risulta,
perciò, del tutto illusoria la pressione governativa al fine di invertire il calo
delle nascite che rimanda a processi oggettivi e soggettivi profondi.
Dall’altro lato, nella sfera
della riproduzione, come già accennato, si ripercuotono e si mescolano
i diversi fattori legati sia ai cambiamenti culturali-simbolici quali,
il diverso rapporto col proprio corpo, il rifiuto della trappola dell’orologio
biologico, differenti aspettative di vita e, soprattutto, l’affermazione di una
diversa politica del desiderio, sia quelli di
natura economico-sociale come l’utilizzo delle risorse, la precarizzazione del lavoro, la
crescita delle disuguaglianze sociali, l’erosione progressiva dei diritti.
La pretesa di intaccare lo spazio privato
prevaricando la libera scelta di fare o non fare figli, se non di impedire la
possibilità di averne a chi li desidera, con una inammissibile discriminazione
lesiva dell’uguaglianza dei diritti, come nel caso delle coppie omosessuali,
svela il volto di una politica
post-moderna poco incline al pluralismo e alla laicità dei diritti e fortemente
subordinata agli imperativi di sistema e
alle urgenze del globalismo.
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Un’iniziativa, quella
ministeriale, che reca in sé il marchio di una cultura regressiva e illiberale, che ha in sé il grave demerito
di palesare un forte disconoscimento della libertà femminile e del principio
dell’autodeterminazione della donna proprio sul fronte strategico della
maternità consapevole.
Su questo tema si sono giocati
sul piano interno ed internazionale decenni di riflessione critica, di lotte e
conquiste dei movimenti delle donne, per l’emancipazione e liberazione dalla
soggezione di genere e su cui è maturata la piena autoconsapevolezza della
soggettività femminile.
La logica che presiede al piano
nazionale sulla fertilità sottende un modello di governo della vita pubblica di
stampo integralistico e a tratti pre-moderno, in cui è lo Stato a dettare i
comportamenti dei cittadini non riconoscendone la titolarità decisionale. Dopo
l’esperienza novecentesca dei
totalitarismi, appare ancora più scioccante il ricorso al dirigismo burocratico
delle ingiunzioni dall’alto, specialmente intorno a problematiche che per un
verso attengono alla sfera intangibile della libertà personale e per l’altro
evocano tutt’altra maniera di intendere i criteri della responsabilità collettiva
e sociale ai fini della promozione della crescita demografica.
Per tutte queste ragioni gridiamo
forte il nostro no al fertility day ed al piano sanitario per la fertilità.
Casa delle Donne Lecce, L.e.A. –
Liberamente e Apertamente e Kore Salento