martedì 22 ottobre 2019

Schiave della tratta

 Schiave della tratta

           Amalia De Simone e Ines Rielli 

a Lecce

sabato  26 ottobre 
dalle ore 17:30 alle 18:30
Biblioteca Convitto Palmieri
Lecce 
 Sabato 26 ottobre (ore 17:30 - ingresso libero) nella sala al primo piano del Convitto Palmieri di Lecce, il festival Conversazioni sul futuro ospita SCHIAVE DELLA TRATTA con Amalia De Simone (videoreporter Corriere.it, Rai e Reuters) e Ines Rielli (psicologa, coordinatrice progetto Libera e coautrice di “Libera Libere”, Radici Future). ). Modera Katia Lotteria (Casa delle Donne Lecce)

L’incontro rientra all’interno della mostra WHAT WERE YOU WEARING – COM’ERI VESTITA? a cura di Libere Sinergie e, per la Puglia, realizzata con l’APS Sudestdonne, promossa da Conversazioni sul futuro, in collaborazione con la Casa delle donne di Lecce.

La mostra che racconta storie di abusi poste accanto agli abiti in esposizione che intendono rappresentare, in maniera fedele, l’abbigliamento che la vittima indossava al momento della violenza subita. Si tratta di un progetto che nasce nel 2013 da parte di Jen Brockman, direttrice del Centro per la prevenzione e formazione sessuale di Kansas, e di Mary A. Wyandt-Hiebert responsabile di tutte le iniziative di programmazione presso il Centro di educazione contro gli stupri dell’Università dell’Arkansas e diffuso in Italia grazie al lavoro dell’Associazione Libere Sinergie che ne propone un adattamento al contesto socio culturale del nostro Paese. L’idea alla base del lavoro è quella di sensibilizzare il pubblico sul tema della violenza sulle donne e smantellare il pregiudizio che la vittima avrebbe potuto evitare lo stupro se solo avesse indossato abiti meno provocanti. Da qui il titolo emblematico ‘Com’eri vestita’. I visitatori possono identificarsi nelle storie narrate e al tempo stesso vedere quanto siano comuni gli abiti che le vittime indossavano. “Bisogna essere in grado di suscitare delle reazioni, all’interno dello spazio della mostra, simili a quelle riportate”, afferma Brockman, per indurre le visitatrici a pensare: “ho questi indumenti appesi nel mio armadio!” oppure “ero vestita così questa settimana”. In tale contesto si rendono evidenti gli stereotipi che inducono a pensare che eliminando alcuni indumenti dagli armadi o evitando di indossarli le donne possano automaticamente eliminare la violenza sessuale. “Non è l’abito che si ha indosso che causa una violenza sessuale – aggiunge Brockman – ma è una persona a causare il danno. Essere in grado di donare serenità alle vittime e suscitare maggiore consapevolezza nel pubblico e nella comunità è la vera motivazione del progetto”. Le storie esposte sono state tradotte in quattro lingue: italiano, inglese, spagnolo e francese.


 

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