sabato 20 ottobre 2018

Women At Work #Facciamo che non sia un’eccenzione: campagna di comunicazione sociale contro gli stereotipi

Sei poster fotografici per una campagna di comunicazione sociale, che affronta con leggerezza ed ironia sei temi importanti per il mondo lavorativo e la vita delle donne: conciliazione vita - lavoro, tetto di cristallo, sessismo nei luoghi di lavoro, linguaggio stereotipato e disparità salariale. 

Aspetti diversi che continuano ad essere presenti, tra stereotipi più o meno radicati e abitudini discriminatorie persistenti, nonostante i progressi delle donne in una società che è in profondo cambiamento, come quella salentina e più in generale quella italiana. 
Tali stereotipi e abitudini, anziché diminuire o scomparire, sembrano ritornare con maggiore aggressività in presenza, da una parte, dei processi di deindustrializzazione e di mancata nuova occupazione connessi con la crisi economica, che esasperano la competitività nel mercato del lavoro; dall’altra, in presenza di politiche di austerità che incidono sui servizi sociali finalizzati a ridurre il carico dei lavori di cura e addirittura pretendono di riformare il “ciclo di vita” delle persone. Tutti fattori che giocano a sfavore delle donne e rischiano di annullare i risultati di decenni di lotte emancipative. 

La campagna di comunicazione sociale della Casa delle Donne di Lecce, - “Facciamo che non sia un’eccezione” - realizzata in collaborazione con le associazioni partner del progetto Women At Work,* coincide con l’anniversario dei dieci anni di vita della nostra associazione, impegnata sul territorio nella promozione di iniziative a favore della parità e il rispetto tra i generi.
“Facciamo che non sia un’eccezione” è il claim che ricorre in ciascuno dei sei poster fotografici, per ribadire che ciò che oggi rappresenta una singolarità dovrebbe diventare una prassi, un’abitudine di vita condivisa tra uomini e donne, un contesto culturale entro cui tutti e tutte debbano riconoscersi, affinché ciascuno/a possa crescere e vivere come persona, con bisogni e necessità che vanno al di là dello stereotipo dei ruoli sociali.  

                È il caso del congedo parentale (mio marito ha preso il congedo parentale!), che ben rappresenta l’attuale situazione. Infatti, sebbene la legislazione italiana preveda dal 2013 il congedo per i neo-papà, la percentuale di uomini che ne beneficiano è ancora troppo bassa. Dall'11,0% del 2012 al 18,4% del 2016 e, nonostante si riscontri un aumento continuo, l’INPS non ritiene che questo dato sia un valore a regime.

           Il tetto di cristallo (in ufficio mi hanno 
assegnato un segretario! ), come si sa, è quella barriera invisibile che impedisce tuttora alle donne di raggiungere posizioni dirigenziali e alti livelli manageriali in ogni campo del lavoro produttivo, riducendo anche i loro stipendi nei confronti degli uomini. Le statistiche dicono che tale meccanismo negativo, presente nel mercato del lavoro globale, agisce con maggior efficacia nel mondo del lavoro in Italia rispetto ad altri paesi europei. Analisi più approfondite indicano che non è solo una questione legata alla maternità e a mancate politiche di conciliazione vita-lavoro, ma è un meccanismo discriminatorio legato al persistere degli stereotipi di genere.  A parità di curriculum vitae, gli uomini hanno più probabilità di accedere a ruoli dirigenziali e, a parità di performances, gli uomini hanno più probabilità di avanzare nella carriera. 

         
   Sessismo nei luoghi di lavoro (al colloquio ha valutato solo il mio curriculum / al colloquio non mi ha chiesto se vorro' figli! ) Seconde le ultime rilevazioni statistiche condotte dall’ISTAT, sono 1 milione e 173 mila in Italia le donne che durante la loro vita hanno subìto ricatti sessuali sul posto di lavoro. In modo particolare, le disoccupate più delle occupate perché più vulnerabili; le indipendenti più delle dipendenti; le impiegate più delle operaie. Solo lo 0,7% però ha sporto denuncia, sia per paura di perdere il lavoro che per “vergogna” di essere giudicate dalla società e dai familiari. La campagna #metoo, nata negli Usa e diffusasi in breve in tutto il mondo per sensibilizzare il genere femminile nei confronti di abusi fisici o psicologici che possono avvenire sul posto di lavoro o in un qualunque altro contesto, ha contribuito ad aprire uno squarcio sul substrato sociale della violenza più diffusa e silenziosa esercitata sulle donne da parte degli uomini che occupano posizioni di potere nel mondo lavorativo. Il movimento #metoo ha avuto il merito di scoperchiare il vaso di Pandora della condizione di ingiustizia entro cui la relazione sociale fra donne e uomini si è strutturata. Non si tratta infatti soltanto di denunciare comportamenti moralmente riprovevoli, ma di scardinare la strutturale e radicata asimmetria di potere che tuttora caratterizza, anche nel mondo del lavoro e della produzione sociale, i rapporti fra uomini e donne. 

               
 Linguaggio - La discriminante gabbia del “lavori tipicamente maschili e/o femminili” (finalmente mi ha chiamato architetta guadagno come il mio collega antonio!) Indagare il sessismo e la discriminazione di genere nel lavoro significa combattere stereotipi e pregiudizi sedimentati nello schema del lavoro “tipicamente” maschile e/o femminile, cioè delle mansioni tradizionalmente riservate all’uno o all’altro genere. Solitamente questa gabbia si traduce in una discriminazione a danno delle donne e in una forma di segregazione sessuale del lavoro. Le statistiche indicano che alcune cose stanno cambiando, tuttavia ancora oggi, quando una donna svolge una professione considerata tradizionalmente “maschile”, il sessismo riemerge sotto la forma di una vera e propria “invalidazione”, che si manifesta non solo nel trattamento economico (ancora oggi in molti contesti professionali le donne ricevono inferiori rispetto ai loro colleghi uomini di pari livello e, pur avendo pari competenze, vengono “demansionate”, se non scartate perché considerate non “idonee”) ma anche nei comportamenti e nel linguaggio. 
Spesso le donne per essere accettate si adattano a rientrare in cliché di scelta e/o di comportamento, cioè tendono a preferire lavori “tipicamente” femminili, oppure ad imitare sul lavoro i comportamenti dei colleghi maschi. Alcune indagini condotte fra lavoratrici con mansioni tradizionalmente maschili (tipografe, camioniste, minatrici, guardie giurate, agenti di polizia, ma anche maestre d’orchestra e avvocate) hanno messo in luce come esse avessero finito col modificare il loro modo di essere, confermando così inconsapevolmente lo schema della segregazione e divisione sessuale del lavoro. Accade allora che, di una lavoratrice che dimostra buone capacità si dica che “è una donna con le palle”. 
Una forma mascherata di mancato riconoscimento delle capacità professionali delle donne è l’attribuzione di titolo professionale e qualifica lavorativa non declinati al femminile, come invece la lingua italiana consente agevolmente.

           
    Disparità salariale  (mi pagano come il mio collega Antonio!)
Nel 2017 i dati pubblicati dall’ Eurostat-Istat riportavano un divario retributivo fra uomini e donne in termini di paga oraria pari al 5,5%. Le donne, dunque, guadagnano meno degli uomini a fronte di una media Ue del 16, 3%. Il fenomeno viene generalmente attribuito a delle caratteristiche individuali delle donne e uomini occupati, in relazione all’esperienza e all’istruzione. Tuttavia, ciò che è andato costruendosi in Italia è una vera segregazione di genere a livello occupazionale, legata senza dubbio a fattori culturali, sociali ed economici che ben si legano al divario retributivo. 


Vi è, tra i fattori sociali, una vera sottovalutazione del lavoro delle donne, la minore partecipazione al mercato del lavoro dovuto, secondo recenti indagini, anche al ruolo sociale e culturale di cura della famiglia e delle discriminazioni varie dovute anche a causa della mancata rappresentazione a livello aziendale.
Nel 2018, le Nazioni Unite hanno indicato questo fenomeno con la denominazione “gender pay gap” e lo ha definito come “il più grande furto della storia”. 
Le donne ricevono quindi, salari più bassi rispetto ai colleghi maschi facendo esattamente lo stesso lavoro. Nel complesso, la stima dell'organizzazione è che per ogni dollaro guadagnato da un uomo, una donna guadagna in media 77 centesimi.
Secondo questa indagine, non vi sono distinzioni di aree di competenze, età o qualifiche. "Non esiste un solo paese, nè un solo settore in cui le donne abbiano gli stessi stipendi degli uomini", ha detto il consigliere delle Nazioni Unite, Anuradha Seth. 
Nel nel marzo 1984 da Gay Bryant, ex direttrice della rivista Working Woman, in un'intervista dichiarava "Le donne hanno raggiunto un certo punto - io lo chiamo il soffitto di cristallo. Sono nella parte superiore del middle management, si sono fermate e rimangono bloccate. Non c'è abbastanza spazio per tutte quelle donne ai vertici”. 
In questi decenni, nonostante i piccoli progressi, l’Italia resta al quartultimo posto – in materia-  tra i 35 paesi sviluppati. L’Ocse, come precedentemente accennato, sostiene che sia, come riportato nel rapporto presentato, per la percezione del ruolo delle donne svolto all’interno della famiglia. Ossia svolgono, in gran parte dei casi, lavoro domestico non retribuito. Oltre questo, vi sono ostacoli nell’inserimento nell’ambiente lavorativo legati all’accesso limitato ad asili nido o alla possibilità di posti di lavoro che permettano flessibilità nella gestione della famiglia e del lavoro.


IL PROGETTO*
WOMEN AT WORK è un progetto di cooperazione internazionale, nello specifico tra Italia e Albania, finanziato dalla Regione Puglia – Sezione Relazioni Internazionali e dedicato a donne inoccupate e disoccupate italiane, albanesi e delle comunità migranti presenti a Lecce e nel Salento e a giovani donne albanesi, che individua nel lavoro uno strumento di crescita personale, culturale, di emancipazione e contrasto alla violenza e alle discriminazioni.

Del progetto WOMEN AT WORK è capofila la Casa delle Donne di Lecce è capofila, con la partnership delle associazioni Alveare Lecce, Meticcia, Awmr Italia - donne della regione mediterranea, Wilpf Albania, Associazione Blablabla, dell’ente CNA-confederazione nazionale artigianato e piccola e media impresa Lecce e del Comune di Lecce – Assessorato alle Pari Opportunità. 







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