giovedì 15 novembre 2012

Fecondazione assistita, giudice ordina "La diagnosi preimpanto è un diritto"

Fecondazione assistita, giudice ordina  "La diagnosi preimpanto è un diritto"

Il tribunale di Cagliari ha autorizzato una coppia  portatrice di una grave malattia ereditaria ad eseguire il test presso un ospedale pubblico per evitare l'impianto di embrioni malati. Roccella: "Sentenza discriminatoria". Marino: "Legge 40 ascientifica, va riscritta"







 ROMA - Per la prima volta dall'entrata in vigore della legge 40 nel 2004 sulla fecondazione assistita, un giudice ha riconosciuto il diritto di una coppia di poter fare la diagnosi preimpianto. Il Tribunale di Cagliari ha autorizzato una coppia, lei malata di talassemia major e lui portatore sano, di eseguire il test all'Ospedale Microcitemico di Cagliari.

La donna - affetta da una malattia del sangue che porta a un difetto nella sintesi dell'emoglobina - aveva chiesto al centro ospedaliero di eseguire la diagnosi per evitare l'impianto di un embrione malato e si era rivolta alla Corte Costituzionale, che però non si era pronunciata. La sentenza, depositata questa mattina, supererebbe il problema di legittimità costituzionale perché propone una interpretazione della legge ispirata agli stessi principi costituzionali. Si tratterebbe quindi di una scelta interpretativa che esclude l'intervento della Corte Costituzionale.

La sentenza di Strasburgo. I giudici di Cagliari si sono dunque mossi sulla linea della sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo che lo scorso giugno aveva accolto il ricorso presentato da una coppia italiana contro la legge 40 del 2004 sulla fecondazione assistita. La Corte di Strasburgo, dando ragione a una coppia italiana portatrice sana di fibrosi cistica, aveva bocciato l'impossibilità per la coppia (fertile) di accedere alla diagnosi preimpianto degli embrioni, sconfessando così la controversa legge italiana sulla procreazione assistita. Scatenando l'immediata reazione di Scienza e Vita e l'impegno del governo a presentare ricorso alla Corte europea, nonostante da più parti genitori singoli e gruppi di persone portatrici sane di malattie genetiche chiedessero al Governo italiano di recepire la sentenza e cogliere l'occasione per rivedere la legge 40, che impedisce alle coppie fertili di accedere alle tecniche di diagnosi preimpianto. In Italia, una breccia alla legge nella direzione indicata da Strasburgo era stata già aperta nel 2010 dal giudice Antonio Scarpa, del Tribunale di Salerno, che autorizzò la diagnosi genetica preimpianto per una coppia fertile ma portatrice di una grave malattia ereditaria, l'atrofia muscolare spinale di ripo 1.

La sentenza di Cagliari, oggetto di una conferenza stampa organizzata oggi a Roma dall'associazione Luca Coscioni, va dunque "a correggere la situazione italiana - ha spiegato Filomena Gallo, segretario dell'associazione - in cui su 357 centri di Pma attivi, nessuno dei 76 pubblici offre la diagnosi preimpianto, nonostante con le linee guida Turco del 2008 sulla legge 40/2004 sia consentita. Non solo: non viene offerta la crioconservazione e si osserva ancora il limite dei 3 embrioni creati, anche se non è più obbligatorio dopo la sentenza della Consulta del 2009".

Le reazioni. Immediati i commenti alla sentenza del Tribunale sardo. Secondo Eugenia Roccella (Pdl), ex sottosegretario alla Salute e sostenitrice della legge 40, il Tribunale di Cagliari "ha sostanzialmente decretato che una persona affetta da talassemia ha meno diritto a nascere di una persona sana, affermando, così, non solo un chiaro presupposto eugenetico, ma anche un forte elemento di disuguaglianza tra i cittadini". Si tratta, afferma in una nota, di "un criterio ingiusto e pericoloso che tradirebbe anche il principio di uguaglianza sancito dalla nostra Costituzione". Sul fronte opposto, il senatore Pd Ignazio Marino insiste sull'inadeguatezza della normativa sulla fecondazione: "La sentenza di Cagliari è un altro passo per riconoscere l'impianto ideologico e incoerente di una legge sbagliata - afferma in una nota -  Che la legge 40 fosse esclusivamente il frutto di una negoziazione avvenuta nel Parlamento italiano, è stato palese sin dalla sua approvazione. Un provvedimento che non ha tenuto conto nè delle conoscenze scientifiche, nè del calvario delle coppie che desiderano completare il loro progetto di famiglia, con la nascita di un figlio. Auspico - conclude - che il governo non presenti ricorso rispetto alla sentenza della Corte per i diritti dell'uomo di Strasburgo per difendere una legge ascientifica, peraltro in un momento storico in cui il presidente del Consiglio Mario Monti sta cercando di restituire all'Italia l'immagine di un Paese moderno e affidabile. Sarebbe un grave errore".
(15 novembre 2012)

 

DA Repubblica.it 

Nessun commento:

Posta un commento